Capita di dover vivere con un’ombra che ci precede nel nostro andare, sempre. È la ferita che non si lascia dimenticare. Spesso la conosciamo, con il suo corredo di gesti subiti, parole precise, odori che non si disperdono più.
A volte invece può venire da lontano e noi nemmeno lo sappiamo. È un segreto di famiglia, protetto col silenzio, perché non faccia male ai bambini, che arrivano alle spalle in un frullare di passi senza quasi muovere l’aria e subito si deve tacere.
Ma c’è sempre il giorno in cui ci sfiora quasi senza peso la parola sfuggita, e spariglia l’ordine dei nostri anni. E improvvisamente sappiamo di esistere da prima di essere nati, perché un abbandono antico di due generazioni ci dà quel soprassalto nella notte, e ci muove i piedini verso il letto grande, a contare se tutti e due son lì, a rimediare oggi al partire di allora. Oppure, una povertà che non sappiamo rappresentare ci attraversa e vogliamo penne, colori, quaderni e libri che qualcuno lontano ha solo sognato. E vestiti anche.
Oppure finalmente scopriamo, per esteso e per minuto, da dove arriva la malinconia che ci è compagna, e la guardiamo con una dolcezza nuova, perché non è tutta nostra, e ci sembra più leggera.
Rinascere non ci è dato, ma esser parte di una storia ci dà un posto in cui trovar riposo.
Avvenire, 3 giugno 2012