angoli

Ai bambini piacciono, e c’è il buon motivo. Vivere il mondo dal basso ha i suoi pericoli e a poche spanne dal pavimento il muoversi sicuro di chi intanto è grande e briga, con l’indifferenza di chi crede di ben sapere il proprio potere, suscita un corteo di sentimenti incerti. Tutti confusi nella mente piccina e se la paura di non valere è potente, le spalle al muro permettono almeno il sognare, che ci porta a volteggiare, sopra i grandi che non ci vedono, punto nero in fondo all’occhio loro, alto volare nel nostro cielo per noi.
Però si deve conoscere il giorno del nostro solenne entrare nella vita intera, agile muoversi nel centro degli affetti, chiamati, voluti, cercati quando ci siamo nascosti, e persi, perdonati, abbracciati, addormentati, sfiniti di corse e di paure, visti alla fine e al principio visti, ci siamo, grazie al cielo, a voi, a tutti noi, per tutti ci siamo e ora giustamente austere angoliere hanno preso il nostro posto, con il corredo ben posato di foto autorizzate, che raccontano la nostra vita intera. Fuori, al centro della stanza e altrove.
Questo ci dice l’amico che si china:
«Dall’angolo si può partire, e ogni tanto ci puoi ritornare, ma in mezzo alla vita bisogna andare».

Avvenire, 9 giugno 2012

ricordi

Ci sono ricordi troppo grossi, che occupano tutta la testa e trovano presto la strada per arrivare alla gola e sul principio semplicemente non abbiamo più potuto pensare, poi un poco alla volta cominciamo anche a non respirare.
È l’amore che non c’è più, partito o scappato, del tutto svanito.
Così svanito che forse non è mai esistito e il dubbio è più cattivo del dolore. E dei rimpianti, per non aver detto quel che sentivamo, nel tempo che si lasciava contare con i minuti e i secondi e i giorni sorgevano e tramontavano con durate quasi uguali. Adesso questo passare di stanze trapuntate tutte di ricordi aguzzi che tagliano l’anima restituisce un tempo così indifferente al nostro misurare che ci si chiede di quale marmo sia fabbricato.
Ed è già notte quando si capisce che il giorno è andato e intanto non lo abbiamo vissuto, e non ci sarà mai più il sollievo allegro di gratitudine per i rumori che lo riportano a casa, amore questa volta rubato ancora giovane, indecente sottrarre al nostro accudire, dopo averlo generato. Un altro ricordare che non si può nemmeno sfiorare.
Eppure, anche soli, nei silenzi offerti al divino eterno ascoltare, da un nostro luogo di luce arrivata, viene un esser grati, per quel tanto che si è avuto e con noi rimane.

Avvenire, 8 giugno 2012

scarti

Oggi gli scarti son moltitudine.
Si scarta il cibo ormai passato, ed è un vero peccato innaturale, nuovo, che passa inosservato, come quelli che fan tutti e non si vedono quasi più.
Per i vestiti la coscienza è già più chiara. Scartati, i vestiti vengono solennemente recuperati, certo, da qualche parte altrove, e saperlo o immaginarlo ci fa sentire un po’ più buoni. In fondo, non erano nemmeno così sciupati.
Con le ipotesi andiamo tranquilli. Le abbiamo scartate tutte, per non sbagliare, e le certezze, poche e fidate, ci tengono compagnia, un cerchio selezionato che tutti ci cinge e rassicura. Certi che chi viene scartato dalle fabbriche non saremo noi, né dalle pensioni o dalle liquidazioni, e che nella media che ogni giorno consultiamo, noi avremo sempre il pollo intero ben saldo per le zampe. E poi, di sicuro, le zampe le scartiamo.
C’è poi chi di scarti ci vive. Moltitudini intere, ci mostra la tv, cose da non vedere, che allora la paura davvero può arrivare. Ottocentomilioni, ufficiali, li hanno contati. Come li potremo contenere se la furia loro dilaga, le coste nostre sono infinite, gli eserciti ormai esangui e le parole umane quasi scordate?
Pietre scartate saranno le testate d’angolo del nostro futuro. E che la loro umanità sopravanzi la nostra e ci perdoni.

Avvenire, 7 giugno 2012

porte

Negli incubi succede che sono tante, tutte chiuse, e la salvezza sta nell’aprire quella giusta, se c’è.
Uguale alle altre, inesplorata allo stesso modo. E così si cerca un segno. Vogliamo un segno, come nella vita: se mi telefona, se supero il concorso, se trovo il posto al parcheggio, se l’analisi è negativa. Poi non basta. I segni non bastano mai, nel sonno e nella vita.
Negli incubi spesso si corre, inseguiti da noi stessi che dormiamo o da chissà quale apparizione, e a volte una di quelle porte si spalanca al nostro fianco, il sollievo di qualcuno che ha deciso finalmente per noi, o ci affidiamo al caso e ne apriamo una, spalancata in corsa, e non abbiamo il tempo di sapere quel che facciamo. Nel sonno e nella vita.
E si cade, un precipitare atteso da sempre. La paura ci è vicina nella vita e nel sonno, e non c’è scampo. Si cade, si cade, agitando braccia e gambe, muoversi inutile, gridare senza suono, e chi mai ha messo le porte? Trabocchetti al nostro desiderio. Di andare, e non sapere dove, eppure volere, dovere, perché fermi si muore.
E poi forse solo cadendo fino in fondo e nel cadere ad occhi finalmente aperti ci si scopre a casa nel letto, sulla chaise longue in giardino, in spiaggia a vedere il vicino e a dire: «È bello il giorno oggi, e sembra anche nuovo».

Avvenire, 5 giugno 2012