Si può voler rovesciare il mondo e non riuscirci.
Trovarsi a vivere una vita fatta soltanto di inverni. E di finzioni. Costretto addestramento al piatto non sentire: né il desiderio, non più l’attesa, mai più un amore. Avvolti da un grigio senza nobiltà, nemmeno quella di sapere il proprio disamore. Disumana certezza che niente può cambiare e che solo il peggio tien dietro ai tentativi. Infilata interminabile di ore che non si distinguono, e giorni uguali agli anni e non si sa dire quando sia cominciato il muto chiuso nostro crollare, intimo, senza immagini e senza sonoro, e non si vuol pensare a quando possa finire.
Mentre intorno si nasce tra il tripudio egoista dei vicini e dei distanti, ci si sposa e addirittura risposa, e noi a guardare senza avere il cuore di ricordare.
Si può chiedere aiuto. Sempre. Un aiuto indistinto come i nostri pensieri: fa’ qualcosa per me, rovesciami il mondo addosso, pieno di bisogni che hanno un nome semplice. Pane, casa, vestiti, coccole. Si può con un urlo liberato costringere l’altro a sgusciare finalmente fuori di sé e salvarsi. Salvarci.
Anche far nulla, si può. Se non si ha la forza. E restare qui. Essere scrigno per i tesori di chi viene a consegnarceli.
Mentre intorno si nasce tra il tripudio egoista dei vicini e dei distanti, ci si sposa e addirittura risposa, e noi a guardare senza avere il cuore di ricordare.
Si può chiedere aiuto. Sempre. Un aiuto indistinto come i nostri pensieri: fa’ qualcosa per me, rovesciami il mondo addosso, pieno di bisogni che hanno un nome semplice. Pane, casa, vestiti, coccole. Si può con un urlo liberato costringere l’altro a sgusciare finalmente fuori di sé e salvarsi. Salvarci.
Anche far nulla, si può. Se non si ha la forza. E restare qui. Essere scrigno per i tesori di chi viene a consegnarceli.
Avvenire, 22 aprile 2012