generare

Di generazione in generazione. Si pensa (forse, si è pensato) a volte che generare sia scontato e naturale, vita ricevuta con gratitudine e data con la spontaneità operosa della primavera che arriva con il suo incanto sicuro.
Pensare incauto, quasi che il dubbio portato dal fumo indecente dei campi non avesse oscurato il cielo, il cielo delle stagioni, per non dire del trono di Dio. E come se la paura non abitasse oggi il centro di tutto. Paura di non avere abbastanza, non poter difendere dal dolore, non saper dire le parole che rispondano al perché: «Perché la vita, col suo male?».
Abbiamo dilapidato il bene del mondo a nostra condanna. La sua bellezza, e non c’è più il candido appena rosa di un melo fiorito da offrire in risposta, né quasi più ormai un paesaggio nel mare di nebbia per cui ringraziare. Abbiamo chiamato successo il nostro prevaricare, e neanche l’offesa abbiamo condannato, o il potere ostentato alla faccia del povero.
Oggi generiamo sapendo di dover rendere ragione ogni ora della fede che è in noi. Quasi una santità segreta ci è richiesta, minutissimo discreto mostrare che tutto ha valore di questa tremenda splendida vita che pure vogliamo.
Che possiamo non sottrarci alla vita, nostro bene, nostro tutto.

Avvenire10 maggio 2102

volare

C’è un’impronta sempre. È il prezzo del corpo. Si mangia e si lasciano ossa sul piatto. Si cammina e la terra se ne ricorda.
Se si corre, addirittura trema la terra, e si può disturbare chi ha bisogno di silenzio.
Ci sono anche sentimenti più pesanti del corpo. La rabbia ad esempio riesce a raddoppiarci, piombo anche sull’anima, che così annienta dispute secolari sul suo esistere.
Si può voler essere più leggeri del proprio corpo e anche di qualsiasi nostra anima infelice. Onnipotente delirio qui in terra, e si può fin morire di questo desiderio di volare. Giovani. Palloncini sfuggiti alle nostre stesse mani.
E si può però decidere di camminar leggeri. Pieni di pensieri curiosi invece che sentenziosi. E vivere con la grazia delle stagioni a cui diamo quel che prendiamo, felici di esser custodi del giardino della Genesi.
Si vola di gioia. Assaggio di cielo. Però si deve stare attenti al sole. Mai perder di vista la terra. Scendere può essere duro.
E poi le cattive notizie volano, si dice. All’incrocio qualcuno distratto ha abbattuto un muretto. Più lontano un bambino è caduto. È vero, le cattive notizie volano. A volte viaggiano nel silenzio di un grido che aspettiamo e non viene.
C’è da aver paura di quel che è senza corpo qui sulla terra.

Avvenire, 9 maggio 2012

conoscere

Di certo sappiamo che l’indaco è un felice miscuglio di ciano e magenta e che la stalagmite delle Bahamas è cresciuta al ritmo di 10 millesimi di millimetro l’anno.
Da qualche parte dell’universo, ci dicono anche, intere galassie spariscono dentro i buchi neri e nell’Oceano Indiano quasi seimila specie di pesci si affollano mentre nel Mar Morto solo qualche Archeobatterio alofilo fa compagnia a qualche Eubatterio a sua volta alofilo.
Abbiamo poi appreso con sollievo che i neutrini non corrono più veloci della luce come qualcuno pretendeva di sostenere e ci fa un piacere assurdo non dover prendere a martellate il cemento amato del nostro sapere di scuola.
È certo anche che ci sono a spaglio un po’ ovunque malesorti: mangiar polvere e acqua e nell’acqua morire, MareNostrum, mostruoso passare e andare senza lasciare tracce. Anche questo ci raccontano, e vuol farsi strada dentro di noi, ci arriva da tutte le parti, in carta e in onda, e come ci tormenta.
È un bel combattere per non piegarsi a questo che pretende di essere il nostro sapere quotidiano e così, coperti di vergogna, poter continuare a commettere la nostra vita, tutta preterintenzionale, sia chiaro. E chiediamo anche le attenuanti.

Avvenire, 5 maggio 2012

pensare

Dicono che sia la nostra più nobile facoltà. Ci mette proprio in cima alla piramide. Autorizzati solo noi ad accatastare summe, a esser dottori, rettori, chiarissimi e anche monsignori, e a parlare dell’Altissimo.
Piccola rassegna, senza qualità e pretese, di pensieri quotidiani: che faccia, che pancia, non mi entra niente, son tutti ladri, ci rubano il lavoro, e anche delinquenti, non ci si può fidare di nessuno, è sempre la solita storia, fa preferenze, si capisce che c’è dietro qualcosa, quanti anni ha? dove sta? chissà da dove gli arriva, lui ha detto, lei ha detto, forse ha voluto dire, si capiva che era contro di me, invidioso, sempre a pensar male di tutti, ma l’ha detto o non l’ha detto? Cosa ci vuoi fare, così va il mondo, così va il mondo così va il mondo.
Scrosciare di chiacchiera chiusa, intima, che ci svigorisce, offende, ammala.
E grazie al cielo, come ombra sognata nell’abbaglio che spiana e livella i nostri desideri, arrivano i pensieri della cura, dovuta e insieme amata: vado a prenderlo a scuola, le faccio una sorpresa stasera, prendo il pane fresco, un mazzo di asparagi per tutti noi intorno al tavolo, a raccontare il giorno.
Quanti pensieri, numerati dal mattino alla notte, coltivano la nostra nobile facoltà?
«Radice dei pensieri è il cuore» (Sir 37,17)

Avvenire, 4 maggio 2012