«In quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini» Pin viaggia con la furia senza pace di chi sente che ha una sua vita da vivere e che è ingiusto che il mondo ne faccia scempio. Schiacciato nel suo ruolo di fratello di una prostituta, che peraltro mezzo di quel mondo frequenta da cliente, strapazzato da Pietromagno suo padrone alla bottega, provocato sulla pistola da rubare, rito di passaggio smisurato che nessuno fra gli sfaccendati dell’osteria ha mai compiuto così terribile, pestato dai fascisti, malaccettato dai partigiani. Nel Sentiero dei nidi di ragno Calvino costruisce un’umana «passione» in cui il protagonista è un bambino che non ha nemmeno il sogno di avere un dio dalla sua parte (il testo, scritto nel 1947 e pubblicato anche nei «Meridiani» di Mondadori, è stato riletto in questi giorni da RAI Radio 3).
Ai suoi occhi «i grandi sono una razza ambigua e traditrice» e «non ci si può mai fidare di quel che dicono» (22), «sono ambigui e bugiardi» (63). A proposito di Michel il francese che ha tradito passando alla brigata nera, Pin è irritato di «sbagliare tutte le volte e non sapere cosa fanno i grandi» (32). Pin è piccolo perché è bambino e molto più piccolo perché non c’è chi riconosca che vale. Non sa il suo valore se nessuno glielo riconosce.
Eppure «Pin ama i grandi, ama fare dispetti ai grandi, ai grandi forti e sciocchi di cui conosce tutti i segreti» (16). Ai grandi che non sanno fare i grandi Pin risponde colpendo dritto il loro esser farisei e Giuda insieme, e scivola su un piano inclinato che lo porta a essere solo, solo, solo.
La rinascita vuole una nuova creazione. Il paradiso terrestre di Pin è questa natura che rimane divina a dispetto del male degli uomini: «Il gracidare delle rane nasce da tutta l’ampia gola del cielo, il mare è una grande spada luccicante nel fondo della notte. L’essere all’aperto gli dà un senso strano di piccolezza che non è paura. Ora Pin è solo, solo su tutto il mondo. E cammina per i campi coltivati a garofani e calendule» (52). Ha fame e trova le ciliegie, su un albero lontano dalle case e «sorto lì per incantesimo». «Pin si arrampica tra i rami e comincia a sfrondarli con diligenza. Un grosso uccello gli piglia il volo quasi tra le mani: era lì che dormiva. Pin si sente amico di tutti, in quel momento, e vorrebbe non averlo disturbato».
La salvezza non ha la forma limpida di un redentore, ma quella ancora confusa di uomini che si possono dire dalla parte giusta, partigiani divelti dal proprio vivere circoscritto per ragioni che sono ciascuna una storia: dal cosmico perseguire le magnifiche sorti e progressive dell’umanità di Lupo Rosso, al privato legittimo «tornare a fare lo stagnino» (95) di Giacinto, fino al motivo più privato, il tradimento di una donna, per Cugino.
Da molte strade si può arrivare a fare la cosa meno sbagliata. Perché neanche questi son modelli per Pin. Il Dritto è debole, manda a fuoco il rifugio per l’indolenza di un amore che è un lasciarsi andare più che un lasciarsi trasformare, anche in questo mondo di uomini un poco più veri c’è chi tradisce, come Pelle che non torna più su dai compagni, si unisce alla brigata nera e fa fucilare gli amici di prima, per ferocia. Assiste agli interrogatori. Lo fa senza motivo.
La vita rimane aggrovigliata e rabbiosa dentro Pin. Anche quando sta con i partigiani. Da un lato «canta e guarda il cielo e il mondo puliti del mattino e farfalle montanare dai colori sconosciuti che si librano sui prati» (88) e dall’altro «è ripreso dal contagio del peloso e ambiguo carnaio del genere umano: ed eccolo a occhi strabuzzati e lentiggini fitte che spia gli accoppiamenti dei grilli, o infilza aghi di pino nelle verruche del dorso di piccoli rospi, o piscia sopra i formicai guardando la terra porosa sfriggere e sfaldarsi e lo sfangare via di centinaia di formiche rosse e nere» (88).
La cattiveria è dentro tutti, giocare ai buoni e ai cattivi mette in croce il più ingenuo e malaccorto, lo sprovveduto o quello di cui pensiamo di avere più paura. I più malvagi spesso sanno meglio l’arte del mascheramento o anche quella del confondere. Eppure c’è «la parte dei gesti perduti» (107), secondo le parole del commissario Kim. E quella «degli inutili furori perduti, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio». E la politica è «utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo».
A salvare, forse, Pin, che è costretto a rifiutare quel che resta della sua famiglia impossibile, è la mano «soffice e calma» (147) di Cugino, che santo non è proprio. Ma quando, circondati da lucciole nella notte, Pin osserva che viste da vicino sono «anche loro» (come gli uomini?) rossicce e schifose Cugino gli risponde che sì, è vero, «ma viste così sono belle».
E insieme possono continuare a camminare.
Su Il Regno, “Riletture”, 15 marzo 2015