“Una storia quasi perfetta” nasce da un primo nucleo molto lontano. È la storia di un vecchio professore di discipline plastiche, vecchio e “malamente malato”, invecchiato male, con una sostanza di degenerazione dello spirito che gli avvelena il corpo insieme alla malattia fisica e all’età, che non necessariamente è malattia in sé, in lui sì.
Ma lui è famoso, il suo nome è importante e di questo il professore approfitta per circondarsi di allieve giovani e piene di vita. Sa leggere il loro desiderio di essere riconosciute, come donne e come artiste, e le seduce, sadicamente e senza grazia. Ne prende l’energia e la giovinezza.
Questa storia ha occupato il pensiero e la scrittura per molto tempo. Presa, lasciata, ampliata. Ma non riuscivo a farle avere un movimento. Era come un quadro, ma non diventava storia. Mancavano i personaggi intorno, il luogo giusto. L’Accademia di Venezia, certo, lo studio del professore, ma non succedeva abbastanza, intorno a loro non si muoveva il mondo. E del resto quel che cercavo era un duetto, una storia a due che esplorasse quel che capita quando si cade nella trappola del perverso.
Un passo molto difficile da compiere, quando si scrive, è rinunciare a qualcosa su cui si è così tanto lavorato da sentirlo già creatura, e come si fa a rinunciare alla propria creatura per quanto non ci piaccia? È misto di orgoglio – non posso aver lavorato così male – e paura – allora questa storia proprio non nasce, è “brutta”. E c’è anche la paura di non riuscire a farsi venire un’altra buona idea. Il blocco.
Di solito fa bene lasciar lì e lavorare ad altre scritture. È una piccola liberazione con tarlo annesso, perché il pensiero dello scartafaccio abbandonato resta lì, ombra sullo sfondo del pensiero.
E di solito allora, a sorpresa, fra un articolo e un altro, o a colazione, o sfogliando un giornale, capita che da solo il personaggio si anima. Va verso una direzione. In “Una storia quasi perfetta” Bianca si è spostata da Venezia, è cresciuta, ha trovato un lavoro, ha recuperato la sua casa di famiglia e soprattutto è rinata insieme al piccolo Gabriele, figlio che dà la vita alla propria madre. Qualcosa di divino e insieme esperienza umanissima di ogni genitore.
La sua nuova vita è costruita e insieme difesa attraverso un preciso progetto di riparazione attraverso la bellezza. Bianca non lo fa consapevolmente, ma nella casa piena di fiori, nelle tavole assolutamente perfette che disegna, nella passione per il suo lavoro di insegnante mette la volontà di riparare il male vissuto attraverso la bellezza. E qui, in questo punto della sua vita, Bianca incontra un uomo, un amore che come ogni amore rimette in gioco tutto. Si può amare di nuovo, fidarsi? “Io non posso essere lasciata cadere” dice Bianca a quest’uomo. Non dice “Non voglio cadere o non posso cadere”. Dice che non può essere lasciata cadere, che deve fidarsi perché fidarsi, amare, vivere è necessario, ma che lui non deve lasciarla cadere. Non tradire di nuovo la fiducia.
L’evoluzione della vita di Bianca ha portato con sé la scelta di passare dalla prima alla terza persona. I due precedenti romanzi sono scritti i prima persona. Anche il primo nucleo di questo, la storia di Bianca e del professore, era in prima persona. Ma l’incontro fra Bianca e il nuovo amore ha imposto la terza persona perché questo mi permetteva incursioni continue nel pensiero di lui. Il narratore onnisciente è una tentazione perché permette di giocare con i tempi della storia e con l’interiorità delle persone. Qui la scelta è stata di limitare l’onniscienza. Si alternano sì le prospettive di lettura dei sentimenti ma a parte una minuscola anticipazione che sta all’inizio della storia e che ho messo e tolto almeno dieci volte e alla fine ho lasciato, a parte questa anticipazione la narrazione segue il tempo della storia.
Ecco. Poi il tema della bellezza si accompagnava spontaneamente al tema dei fiori, della natura, che c’è in tutti i miei romanzi. E anche al tema della musica, dei suoni, dei suoni delle parole.
Così è nato il romanzo. Il nucleo iniziale è diventato un paragrafo in un capitolo. La storia vera doveva ancora nascere quando pensavo di averla trovata.