anoressia e carcere

Il problema vero sarà trovare qualcosa intorno a noi che NON rientri nel reato di istigazione all’anoressia. In senso neanche troppo lato e sfumato c’è un vero corteggiamento culturale intorno al corpo leggero. Coinvolge il cibo, che più è “senza” (zuccheri,calorie, grassi) più è “sano” (e più è costoso, ma questo è altra questione). Imperversa sui vestiti, vecchia e attuale questione delle modelle, sia quelle vere delle sfilate, che a dispetto dei codici etici ritualmente proclamati dagli stilisti continuano a misurare le passerelle nella loro taglia quaranta scarsa, sia quelle di eco plastica che si offrono filomorfe dalle vetrine. E il corpo leggero leggerissimo è anche quello delle piccole protagoniste dei fumetti per bambini, dei cartoni, dei videogiochi.
Gli insegnanti fanno corsi per poter riconoscere subito i sintomi dei disturbi alimentari. Hanno imparato. Il panino che qualcuno da casa ha infilato in cartella e trovato poi nel cestino dell’aula e scatta l’attenzione. E conoscono questi siti dai nomi un po’ carbonari in cui ragazzi e ragazze che hanno imparato la dolorosa dissennata disciplina del corpo che si assottiglia e la insegnano ad altri. Comunità di pratica impensabili. Gruppi di mutua dissoluzione che sono sicuramente “male”, ma è un male che nasce dall’essere malati, i disturbi alimentari sono malattie, ed è difficile pensare di curare una malattia con una pena. E poi questi siti bisogna cercarli, non ci vengono addosso come la pubblicità. E si può anche pensare che chi li cerca in qualche modo un poco il problema lo senta già. E proprio per questo allora, vien da dire, sarebbe bene che chi li cerca non trovasse chi gli rende facile scivolare giù in un’alleanza dannata. Ma allora ci si può domandare se quel confuso percorso che porta a sentirsi sporco, brutto, pesante e cattivo e a voler diventare angeli per sottrazione del corpo nostro può davvero essere arrestato o accelerato da un elenco triste di consigli “pratici”. Forse sì, esistono la seduzione, l’influenza del gruppo, l’imitazione. Forse no, la distruzione di sé è qualcosa di troppo profondo e segreto. Ma in fondo in questi gruppi c’è una vera istigazione al suicidio, c’è chi di anoressia muore.
E si potrebbe continuare e ancora continuare ad allineare ragioni e obiezioni intorno a un problema che come altri della nostra modernità non si lascia afferrare per un capo solo, quello del reato, ma chiede un allargar lo sguardo alla nostra cultura.
Difficile dire che cosa potrebbe fare una legge per arginare il male impressionante, per numeri e conseguenze, dell’anoressia. Non si può di sicuro mettere in carcere il pubblicitario che sceglie una modella a una dimensione per il suo prodotto, ma ancora meno lo si può fare con una ragazza o un ragazzo malati che dispensano consigli malati.
Ma è un gran bene la riflessione nata intorno a questa proposta di legge, perché i disturbi alimentari rappresentano un problema paradossale del nostro mondo occidentale che ha sconfitto la fame e che idolatra l’età giovane. Eppure.
Su La Repubblica, 7 agosto 2014

Dieta mistica

Paradossale nell’età e nelle terre dell’opulenza il tempo speso a parlare di diete, a leggere libri di diete, ad acquistare “cibi senza” (grassi, zuccheri, calorie comunque) che costano più dei “cibi con”. A cercare la più “veloce”, a non temere dolori e allucinazioni. Diete-digiuno che ci seducono, parlano a qualcosa di profondo e insuperabile. Quanto tempo della nostra unica vita se ne va così?

In natura il digiuno non è una scelta. Può essere strategico: il letargo, per non disperdere le energie alla ricerca di cibo che d’inverno non c’è. Oppure necessario: si digiuna se non si trova di che mangiare. Oppure ancora è sintomo: non si mangia quando si sta male, nel corpo e nello spirito. E basta convivere con un animale da compagnia e lo si sa per certo che non solo di noi umani questo si può dire.

Anche se un po’ bisogna intenderci sui termini. Di certo tutti conosciamo l’inappetenza da dolore: inflitto, subito, temuto, pena d’amore. Solo per noi uomini il digiuno può esser scelta. A volte strumento, drammatico, di protesta: dalle suffragette che rifiutavano il cibo per affermare il diritto di voto, ai digiuni per i diritti civili nei nostri anni ancora così segnati dall’ingiustizia. Digiuno con valore politico e culturale e, spesso, strettamente cultuale, legato alla religione: nella forma attenuata dell’astensione da alcuni cibi oppure in forme più radicali che hanno attraversato anche la storia del cristianesimo portandosi appresso un sospetto di patologia.

Sì, perché il cibo è vita, benedizione, salute, ospitalità, allegria condivisa, dono di Dio, Dio stesso addirittura. Il profeta Ezechiele che mangia il rotolo della Parola è sia realtà dell’ uomo che assimila quel che Dio gli dà sia, visto dalla parte di Dio, un consegnarsi senza trattenere nulla di sé. Per questo gli ordini monastici e la tradizione della chiesa sono sempre stati prudenti sul digiuno. Gli eccessi erano sospettati di autocompiacimento, di un voler accampar meriti davanti a Dio. Oggi molte di quelle che chiamano diete somigliano a un laico, ostinato digiunare. Certo che la dieta non è un digiuno, in senso stretto. O almeno non dovrebbe esserlo. È un mangiar corretto. Come un mangiar corretto doveva essere quello di Adamo ed Eva. Tutto tranne il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dieta di salute spirituale, molto prudente.

In realtà esercizio di fiducia in Dio: tutto bene è stato fatto nella creazione, possiamo fidarci di un divieto dal senso oscuro? La Bibbia è attraversata da cibi fatali. Se il frutto di Adamo ed Eva e il piatto di lenticchie di Esaù sono stati infausti, i pani e i pesci del Vangelo o la meravigliosa manna dell’ Antico Testamento, che si trovava al mattino nella misura giusta e non si poteva conservare per il giorno dopo, ci raccontano invece la bontà del cibo, vero e metaforico. La libertà di saper vivere il giorno che ci è dato nella fiducia di un pane che viene.

La dieta di oggi sembra il contrario, un digiuno appunto che è un giocar d’ anticipo per la paura del pane che non verrà. Forse perché non è venuto e temo che non verrà. Ho paurae allora lo rifiuto. Non verrà e allora non mi serve, angelo divento. Certo che nel parlare di cibo oggi si deve essere prudenti, perché anoressia e bulimia sono malattie vere, che devastano il corpo e lo spirito, se stessi e gli altri. Eppure, tutto intorno a questi abissi della malattia, c’è un collettivo “giocare con il pane” che, ci è stato detto fin da piccoli a tavola, non si fa, non si dovrebbe fare. Ma quale pane? Il pane-cibo o il pane-affetto? Se il primo affetto per tutti noi passa attraverso la cura del corpo, e attraverso il cibo che lo fa vivere, quando questo manca allora il rifiuto del cibo diventa insieme rifiuto del corpo e protesta, potere con cui punire chi il cibo non ha dato. O non abbastanza, senza colpa, o non nel momento giusto, per incapacità o impossibilità.

Forse qualcosa di quel che è capitato alle “sante anoressiche”, secondo l’ espressione di Rudolph Bell, può raccontarci un pezzo di noi. Il digiuno da “preghiera del corpo”, come era inteso dalla tradizione cristiana sia occidentale che orientale, diventa in loro un mezzo per esercitare il “potere attraverso il corpo”. Il controllo del corpo era una delle pochissime forme di potere in mano anche alle donne in un tempo di guerre sante e santi poteri maschili. E infatti sono soprattutto le donne a praticare l’ascesi del cibo nella storia passata, e anche recente: da S. Caterina da Siena (muore nel 1380) a Teresa Neumann (muore nel 1962, dopo aver vissuto per 35 anni di solo pane eucaristico). Una scelta che sfiora il sogno di anticipare, nel corpo fatto sottile quasi come l’ anima, la sua stessa incorruttibilità. Forse le donne lo conoscono per natura il potere del corpo. Che possono esser mangiate lo sanno da sempre. Esser cibo senza che sia una metafora. Lo sanno ben prima che il corpo lo insegni con la maternità. Il trattenersi dal cibo le sottraeva a questa storia scritta, sia nella realtà che nella metafora.

Anche oggi un sogno anoressico accompagna consapevolmente tanti giovanissimi e inconsapevolmente un po’ tutti, senza più guardare al genere. Le diete-digiuno che ammiccano dalle classifiche dei libri, dai reparti light dei supermercati, dalle vetrine tutte taglie-mini dei negozi, ci raccontano un desiderio ormai nostro. Forse ancora c’ entra il potere, che non sappiamo ben più dove risieda, ma certo non in noi. E c’ entra anche la fiducia, che non coltiviamo più, per paura. E certamente il corpo. Assillo presente oggi come nel medioevo. Una diversa, strumentale, malata, costruita e bugiarda devozione del corpo ci obbliga ancora. Corpo esibito, giudicato, rifatto, perfetto sennò rifiutato. Un’ossessione che ci rende giudicati e infelici. E allora forse proprio il corpo che ci occupa, invade l’ esistenza fino all’ ultimo interstizio, conquista il pensiero, ci impedisce la vita sociale, sempre visto con gli occhi degli altri e soppesato, non nostro, non alleato in quel che desideriamo, e noi a percepire ogni centimetro che deborda dalla cintura, dai pantaloni che pure vogliamo mettere stretti come tutti, proprio il corpo è il nemico. Un altro paradosso, e non solo del nostro oggi ma della vita tutta che è corpo in noi, di certo. Quale che sia la nostra speranza che ci porta oltre.

Così il tempo della dieta in forma di digiuno diventa un tempo del bisogno dei bisogni, quello dell’ affetto in forma di cibo, sentito potentemente e negato, per non sentirlo più un giorno. Fame d’ amore, di esser visti, amati, riconosciuti. Di potersi fidare e affidare a un futuro di pane che c’ è. La manna del credere. Ma se prevale la paura, ci resta allora il potere sul corpo. Pieni del proprio essere vuoti, nemici a se stessi per diventare forse finalmente amici, un giorno. Nella forma di una leggerezza sognata. E così, angeli diventiamo. Come le sante mistiche anoressiche. Leggerissimi da volare via.

Su La Repubblica.it, 28 giugno 2012