C’è voluto il Tar del Piemonte, per dirci che la scelta di un istituto superiore della Val di Susa di bocciare per un 5 in condotta il bullo della scuola è legittima. I genitori del ragazzo avevano presentato ricorso. Eppure, la legge sul punto è chiarissima: il 5 in condotta porta alla bocciatura.
La premessa necessaria è che a un 5 in condotta si arriva per gradi: è la fine, non l’inizio di una storia. Ci dev’essere un anno di comportamenti problematici, recidive, interventi tentati. E in effetti nel verbale della scuola piemontese si legge che nei comportamenti dello studente, iscritto alla seconda, c’era stato «un crescendo di gravità», che aveva creato nei compagni «un clima di tensione e, in alcuni casi, paura». Facile dire: così si criminalizza un singolo. No, quel ragazzo ha ancora diritto alla nostra fiducia, ma dall’altra parte c’è una collettività da tutelare. Sarebbe terrificante pensare che vadano salvaguardati solo i diritti dei “buoni”, in una scuola che ha il compito di lavorare soprattutto al fianco di chi ha più bisogno. Ma uno solo non può tenere in scacco la libertà di molti. Allora il punto oggi non è che qualcuno è stato bocciato, che da qualche parte una storia di scuola non ha funzionato. Ma è capire cosa spinga dei genitori (che questa storia la conoscono fin troppo bene) a tentare di bypassare questo punto fermo, che per il ragazzo potrebbe diventare un’occasione di crescita. E a dire: “vediamo se riusciamo a fargliela sfangare anche stavolta”, anziché piuttosto: “abbiamo un problema, mettiamo in gioco tutte le nostre energie per risolverlo”.
Dietro dev’esserci o una sfiducia enorme nella scuola o un’incapacità enorme di leggersi, e leggere le dinamiche dei nostri ragazzi. Non so cosa sia peggio. Oggi è fin troppo comune il tentativo di salvare comunque la forma della storia scolastica di un figlio: ma la sostanza resta, non si può eliminarla. Certo: un ricorso è un modo di attivare la rabbia, che attenua il dolore inevitabile di fronte a questa decisione della scuola. Ma una famiglia dovrebbe ricordare che a prenderla è stata una comunità educante, che nel farlo sa fin troppo bene a cosa si espone. E il fatto che sia stata presa all’unanimità ancor più dovrebbe indurre a prenderne atto, anziché combatterla.
Tanti genitori oggi faticano ad accettare che il figlio non sia esattamente come lo avevano sognato. E non stiamo dicendo che sia cattivo, non è quello il punto. Anzi: è un ragazzo, questo è fondamentale. E non va mai pensato irrecuperabile, perché a 15 anni tutto è ancora possibile. Ma proprio per questo dovrebbe intervenire una sorta di fiducia collettiva, che porti a dire: la scuola ha dato a mio figlio un segnale. Mi fido, ora che facciamo?
Da La Repubblica, 7 ottobre 2017