Eppure c’è del buono nel seduttore. C’è la vita dentro il suo desiderio bulimico dell’altro, delle altre, uomini e donne non importa, processioni stregate dalla promessa del mercante, d’amore, di parole.
Il suo potere è nelle parole. Un incanto. Sempre quelle giuste, mai barocche, esagerate eccessive, retoriche. No no. Sempre sull’orlo di quel traboccare oltre ma non traboccano mai. Promettono di farlo ogni istante e alla promessa sono aggrappati i desideri di chi lo ascolta. Donne soprattutto? Perché del loro desiderio d’amore racconta la letteratura? No no, gli uomini anche. Perché è il potere a sedurre. Dirigenti, docenti, politici, scrittori. Anche sedicenti, finché dura.
Dà più dolore che gioia il seduttore, molto più dolore. Ma tutti intorno a lui sperano la gioia che le parole promettono. Perché lui conosce i desideri. Esser visti, noi unici agli occhi suoi, e poter vivere. Riconosciuti finalmente, nella luce sua brillare un poco anche noi alla fine. E ora l’uno ora l’altro lui lo guarda e tocca, e così tutti sospesi sperare. E il suo potere così è grande e vince lui, sempre lui la contabilità dell’avere.
È l’obbedienza il controveleno al seduttore. Obbedienza al chiamare di chi non sa gridare il suo bisogno e così poter dire con allegria: «Eccomi!». E ritornare alla nostra pace.
Avvenire, 16 maggio 2012
Nessun commento