Oggi gli scarti son moltitudine.
Si scarta il cibo ormai passato, ed è un vero peccato innaturale, nuovo, che passa inosservato, come quelli che fan tutti e non si vedono quasi più.
Per i vestiti la coscienza è già più chiara. Scartati, i vestiti vengono solennemente recuperati, certo, da qualche parte altrove, e saperlo o immaginarlo ci fa sentire un po’ più buoni. In fondo, non erano nemmeno così sciupati.
Con le ipotesi andiamo tranquilli. Le abbiamo scartate tutte, per non sbagliare, e le certezze, poche e fidate, ci tengono compagnia, un cerchio selezionato che tutti ci cinge e rassicura. Certi che chi viene scartato dalle fabbriche non saremo noi, né dalle pensioni o dalle liquidazioni, e che nella media che ogni giorno consultiamo, noi avremo sempre il pollo intero ben saldo per le zampe. E poi, di sicuro, le zampe le scartiamo.
C’è poi chi di scarti ci vive. Moltitudini intere, ci mostra la tv, cose da non vedere, che allora la paura davvero può arrivare. Ottocentomilioni, ufficiali, li hanno contati. Come li potremo contenere se la furia loro dilaga, le coste nostre sono infinite, gli eserciti ormai esangui e le parole umane quasi scordate?
Pietre scartate saranno le testate d’angolo del nostro futuro. E che la loro umanità sopravanzi la nostra e ci perdoni.
Avvenire, 7 giugno 2012
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