E come si fa?
La terra è una. La vita è una. La nostra umanità è una. Scappare vuol dire lasciare indietro qualcosa. Cosa lasciamo? Quale lontano possiamo raggiungere se la vita ci precede, ci avvolge, ci abita?
Certo è una tentazione e come tutte le tentazioni è un’illusione. Sembra una via d’uscita: «Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!» (Mt 27,40).
È la croce il problema. La dolorosa struggente chiarezza del male che tocca le nostre vite. E la tentazione di scappare è forse di chi più sente e ha sentito e per contagio di comune umanità continua a sentire che non c’è riparo al dolore perché il dolore è mistero da sempre e nel suo mistero non preferisce i malvagi, a nostra consolazione.
Gli altri non ci pensano neanche a scappare e la calcano bene la terra, con falcate lunghe che lasciano il solco, e a gambe larghe fanno sosta davanti alle croci sbracciandosi a dire che se la son voluta, che basta saper vivere. E non sanno la vergogna di sé.
È il nostro restare, insieme e non divisi, che sfida ogni giorno
la barbarie di tutte le croci. Qui in terra. Sperando il giorno, ma saldi a passare insieme la notte.
«Può darsi che domani spunti l’alba del giudizio universale: allora, non prima, noi deporremo volentieri l’opera per un futuro migliore». (Dietrich Bonhoeffer)
Avvenire, 18 maggio 2012
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