Non è di moda, non lo fa più quasi nessuno, dalle scarpe ai rapporti. Funziona o non funziona e buttare è un gesto distratto, una piccola parabola in discesa che attraversa clandestina la coda dell’occhio intanto che facciamo il caffè. E che non si veda dove finisce. È fastidio intollerabile la Geenna cittadina dei rifiuti fumanti.
Anche i rapporti. Le storie stampate ci insegnano: è amore, naturalmente eterno, se dura cento pagine, poi diventa indifferenza a scomparsa e odio, quello sì eterno. Perché un altro amore, naturalmente eterno, si fa largo nelle ultime pagine.
Persone appaiono e dispaiono. Amici, nemici, lontani, nessuno. Come se il mondo fosse solo deserto o giardino, ineluttabile abitare quel che capita, perché così va la vita, non c’è niente da fare, bisogna prender quel che viene, ma dove-vive-lei, la gente è così, a esser sognatori ci si perde sempre, come se non si potesse coltivare il deserto, e anche il giardino.
È un’arte il riparare, se ben coltivata può far nuove tutte le cose, e non perderne neanche una, né una persona mai, perché bisogna aver vicino quel che si ripara e così, semplicemente, non si dimentica il suo valore. In tutta la Bibbia è un’arte divina, come il creare.
«La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden». (Ez 36,35)
Avvenire, 17 maggio 2012
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