Non è bene ricordare tutto, è una malattia. Ma ricordare nulla è un peccato, e nella classifica dei peccati, è il primo, e il più grave, dimenticare. Che c’è stato chi ci ha fatto volare da bambini, e ci ha ripreso sicuro, voltando la paura in allegria, che non abbiamo meritato tutto, ma lo stesso abbiamo avuto, e insieme agli affetti anche tutti i dispetti portiamo con noi, ferite benedette che mi dicono non sei Dio, il mondo siamo tanti.
C’è poi da ricordare chi è vissuto troppo poco per avere una storia da lasciare, e chi non ha avuto testimoni, perché gli altri erano tutti spettatori ben accomodati da qualche parte.
Per questi chi sa scrivere deve scrivere, storie più lunghe del loro essere stato, con parole vere perché sono nostre, di chi sa che possiamo dire e fare perché c’è chi ce l’ha permesso a caro prezzo, e per questo ha lasciato la vita e davvero dimenticare è peccato mortale. E non abbiamo bisogno dei tanti giorni comandati per ricordare.
È un’arte divina il ricordare, che contiene la grazia del dimenticare, perché se si ricordano le colpe, chi si può salvare? Ed è divina perché chi non c’è più è qui ancora, e possiamo sentirci dentro il suo risorgere.
Ma a noi attenti, «La bocca del passato non parla se l’orecchio del presente non ascolta». (Karl Barth)
Avvenire, 25 maggio 2012
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