Dicono che sia la nostra più nobile facoltà. Ci mette proprio in cima alla piramide. Autorizzati solo noi ad accatastare summe, a esser dottori, rettori, chiarissimi e anche monsignori, e a parlare dell’Altissimo.
Piccola rassegna, senza qualità e pretese, di pensieri quotidiani: che faccia, che pancia, non mi entra niente, son tutti ladri, ci rubano il lavoro, e anche delinquenti, non ci si può fidare di nessuno, è sempre la solita storia, fa preferenze, si capisce che c’è dietro qualcosa, quanti anni ha? dove sta? chissà da dove gli arriva, lui ha detto, lei ha detto, forse ha voluto dire, si capiva che era contro di me, invidioso, sempre a pensar male di tutti, ma l’ha detto o non l’ha detto? Cosa ci vuoi fare, così va il mondo, così va il mondo così va il mondo.
Scrosciare di chiacchiera chiusa, intima, che ci svigorisce, offende, ammala.
E grazie al cielo, come ombra sognata nell’abbaglio che spiana e livella i nostri desideri, arrivano i pensieri della cura, dovuta e insieme amata: vado a prenderlo a scuola, le faccio una sorpresa stasera, prendo il pane fresco, un mazzo di asparagi per tutti noi intorno al tavolo, a raccontare il giorno.
Quanti pensieri, numerati dal mattino alla notte, coltivano la nostra nobile facoltà?
«Radice dei pensieri è il cuore» (Sir 37,17)
Avvenire, 4 maggio 2012
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