ottimismo

Ma come si fa?
Certo che siamo esperti di vorticosi zapping mentali. Se nell’incauto spazio di una nostra distrazione si affacciano gli occhi troppo grandi di un bambino vivo appena quel che basta per oggi, per ora, niente in più, niente che prometta il domani, figlio d’altri grazieadio, figlio d’altri e non nostro, se capita, allora è un attimo e subito abbiamo millemila provvide incombenze cui pensare e anche più da fare.
Sicuro che una piccola compartecipazione a tempo alle sventure del mondo la possiamo dare, lo spazio del perfido sms solidale: perfido, apotropaico demoniaco comprare la coscienza con euro 1 a volte 2. E poi via. Sia mai che la sventura sia contagiosa. Già ci tocca saperla.
Scappare da mille morti quotidiane per abitare la nostra unica, anticipata, qui a dire che tanto non si può far niente, che la vita è così, che sempre così sarà.
Ma come si fa a non prendere e stringere mani fino a sentir male, guardare fino a far lacrimare gli occhi, come si fa a vivere sapendo.
Sapendo che possiamo celebrare finalmente insieme la diaspora dal nostro egoismo, fare una cosa sola, o anche due, e così scendere dal calvario assurdo di una vita che intanto ci inchioda a esser soli, sordi, ciechi e scontenti.
L’ottimismo è voler resistere al male, comunque.
Avvenire, 19 aprile 2012
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