la seduzione delle parole

Mariapia Veladiano ambienta a Vicenza una vicenda d’amore “tra un lui grande manipolatore e Bianca, insegnante d’arte, già ferita dalla vita”

di Fabio Giaretta

Il seduttore non ha nome. Non lo merita. Proprietario di un’azienda di design che si affaccia sulla Piazza dei Signori a Vicenza, un giorno si imbatte in Bianca ed è colpito dalla sua purezza e dai suoi meravigliosi disegni. Vuole possedere lei e le sue creazioni. Comincia così a tessere la sua tela e a mettere in atto, come ha fatto molte altre volte, le sue raffinatissime strategie. Bianca è già stata ferita dalla vita. A poco a poco, però, decide di fidarsi, di affidarsi a quell’uomo che, come da copione, una volta ottenuto ciò che voleva, comincia a praticare l’arte del distacco. L’esito sembra scontato, ma questa volta non tutto andrà come il seduttore aveva previsto.

Questa, in estrema sintesi, la vicenda raccontata da Mariapia Veladiano nel suo ultimo romanzo, intitolato “Una storia quasi perfetta”, 238 pagine, in uscita oggi per Guanda, che l’autrice presenterà sabato 30 gennaio, alle 18, con Alberto Galla, al Galla Caffè di Vicenza. In questa nuova opera, Veladiano riesce a indagare, con penetrante lucidità e con uno stile finemente cesellato, a cavallo tra prosa e poesia, la banale quotidianità del male e le vie che si possono seguire per arginarlo e combatterlo.

“Il seduttore – racconta in anteprima al Giornale di Vicenza la scrittrice, preside dell’Istituto Boscardin – non è una persona rozza, insensibile; è un grande manipolatore e per poterlo fare deve conoscere molto bene l’arte della cura perché la deve praticare. Certo non gli viene da sé stesso, la sua è un’arte imparata, rubata. Ruba quasi tutto, anche alcune delle parole più belle che dice le ha rubate, le ha fatte sue e le usa per manipolare le persone che ha intorno”.

“Il seduttore non sa l’amore, vuole prendere quel che si può solo ricevere”. Quest’uomo, in fondo, può essere visto come una metafora della nostra società?

Trovo che questa struttura manipolatoria nei rapporti oggi sia molto diffusa. A me interessava vedere che cosa ci fa cadere quando si trova la realtà della manipolazione intorno a noi. Ci fa cadere l’arte dell’altro, praticata con consumata abilità dal seduttore, e il bisogno universale di riconoscimento. Questo bisogno è il varco nel quale si insinua il seduttore.

Oggi viviamo in una società paradossale: è molto individualista, quindi sembrerebbe esserci il massimo del riconoscimento, ma in realtà siamo tutti intruppati in categorie: i giovani che sono tutti irresponsabili, senza progetti, viziati, gli stranieri che son tutti nemici, gli impiegati tutti lavativi e così via. Domina il mucchio, non le persone singole, e nel mucchio non si è nessuno, quindi il bisogno di essere visti aumenta, e di conseguenza aumenta anche la disponibilità a essere manipolati.

Quando Bianca entra nello studio del seduttore, ha già il presentimento che tutto sia il preludio di qualcosa di disgraziato. Perché allora si lascia andare all’amore?

Perché non è mai tutto così netto e calcolato nella vita. Ci si può innamorare… Inoltre, lei intuisce, a ragione, che lui è innamorato. Che in lui sta succedendo qualcosa che supera la semplice manipolazione e che lo sta trasformando.

Fin dalla copertina del libro, che ha scelto personalmente, in cui si vede una cascata di foglie di cachi, risulta evidente il ruolo di primo piano che piante e fiori hanno all’interno del romanzo. Perché questa centralità?

Incarnano la ricerca della bellezza. Nel libro c’è un mondo di relazioni molto complicate, spesso segnate dalla cattiveria, dal cinismo, dalla superficialità. L’antidoto può essere costruire un mondo di bellezza e la natura, le piante sono una delle possibilità che noi abbiamo. Intorno a Bianca si muove un mondo un po’ malato e la bellezza della natura è in qualche modo la sua possibilità di guarigione. Inoltre le piante e i fiori richiedono una cura particolare, che è la stessa cura che richiede la vita. Oggi manca un’educazione alla cura, al sentimento. Il passaggio fondamentale per essere davvero felici è sapere chi si è attraverso la cura degli altri, è sapere che grazie a noi, il mondo che ci circonda può diventare un po’ migliore.

Rebecca, Ildegarda, Bianca, le tre donne protagoniste dei suoi tre romanzi sono molto diverse, ma sono tutte accomunate da una sorta di purezza che le solleva dal mondo circostante. Come mai la scelta di figure così incontaminate?

In verità Bianca è abbastanza contaminata, viene da una storia precedente di seduzione. Certo è fuori dalle logiche del successo, il suo è un mondo a parte che si è costruita come nuova vita rispetto a quella da cui è dovuta emergere. Un po’ tutte e tre hanno in comune un dolore che le ha colpite: per Rebecca il non riconoscimento, per Ildegarda l’esperienza dell’abbandono, per Bianca il primo seduttore. Hanno conosciuto il mondo e io le incontro nel momento successivo alla ferita che hanno ricevuto. Sono donne che lottano, che non si rassegnano al fatto che il mondo deve necessariamente andare così. In tutte e tre poi c’è la potenza dell’amore, che nel caso di Ildegarda e Bianca passa attraverso l’amore per un figlio.

A tal proposito, come ne “Il tempo è un dio breve”, anche in questo romanzo la maternità ha un ruolo salvifico…

La maternità, ma anche la paternità, hanno un ruolo salvifico perché rappresentano il luogo della cura incarnata dal bambino. Inoltre è il luogo in cui si fa l’esperienza che la vita ci supera, che noi siamo dentro a una vita più grande di noi. La vita messa al mondo ha una sua autonomia e grandezza del tutto indipendente dai genitori. Scoprire che non siamo un assoluto è la strada per non sentirsi Dio, per non devastare il mondo con narcisismi ed egoismi incontrollabili che sono un po’ la cifra di una società che tira dritto per la sua strada mentre intorno a noi domina ogni sorta di miseria.

L’esperienza del dolore è molto forte nei suoi romanzi. Solo attraversandolo, si può avere una forma di conoscenza superiore della realtà?

Il dolore non è mai auspicabile, va sempre combattuto. Non amo la mistica del dolore, è una deriva malata del cristianesimo e non credo che se uno non lo ha sperimentato, non possa conoscere bene la vita. Però quando ci arriva addosso è possibile, anche se non è una regola matematica, che possa dare un’aggiunta di conoscenza alla nostra esistenza.

Bianca fa l’insegnante di discipline pittoriche in un Liceo delle arti e nel romanzo, quando rivela la sua professione, suscita una certa perplessità. La scuola ha perso qualsiasi prestigio sociale? Eppure, riprendendo le parole della protagonista, “a scuola arriva il mondo e si può lavorare e farlo diventare un poco migliore”.

È un po’ un paradosso questo. Della scuola si parla male ovunque e sempre e per partito preso, dal governo in giù. Tanto è vero che, per fare una riforma della scuola hanno dovuto chiamarla la “Buona scuola” quasi in contrapposizione a una scuola cattiva universale che l’ha preceduta. Nonostante questo essa, di fatto, esercita un compito fondamentale di tenuta riguardo ai principali problemi della società come la convivenza, i diritti, il rispetto. Non esiste un luogo della società in cui questi temi sono ancora così importanti.

Vicenza, come ne “La vita accanto”, è ancora il luogo in cui si svolge la storia raccontata. Qui, in modo ancora più marcato rispetto al suo romanzo d’esordio, essa appare una città bellissima ma dominata dal pettegolezzo e dalla logica del denaro che finisce per stravolgere ogni cosa.

Amo molto Vicenza, è una città bellissima. È una città che ha anche una storia letteraria di questo tipo, cioè di essere riconosciuta come una specie di modello in miniatura di tanti luoghi di provincia in cui tutto è molto piccolo e tutti sanno tutto di tutti. Dopo aver passato un po’ di anni in Trentino, quando sono tornata, ho avuto uno sguardo di ritorno su questa città e ho ritrovato tutto questo. Mi ha poi colpito vedere come nel centro storico vi fossero negozi e banche dappertutto. Anche le relazioni sono molto compromesse dal denaro come traspare nel libro. Il denaro è una delle componenti che caratterizzano il seduttore.

Nel romanzo il desiderio appare come una spinta fortissima, ma anche come una forza estremamente pericolosa, che rischia di confonderci e ingannarci.

Il desiderio è la nostra forza principale, bisogna crederci perché ci porta avanti. Certo ci si può ingannare soprattutto quando diventa una forma di compensazione o dove c’è confusione. Nella confusione può prevalere il lato oscuro del desiderio. La forza del desiderio può essere utilizzata per realizzare la bellezza o può essere utilizzata per schiacciare, per dominare, per manipolare come fa il seduttore. Serve quindi un’educazione sentimentale, che non è qualcosa di teorico. È essere esposti ai sentimenti buoni e non a quelli distruttivi: la cura invece che la sopraffazione, la generosità invece che l’egoismo e così via. Non c’è un altro modo. È importantissimo che questa esposizione avvenga in ciascuno di noi, altrimenti si finisce per inseguire qualsiasi desiderio.

Da Il Giornale di Vicenza, 28 gennaio 2016

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