Quando si parla di scuola bisogna applicare mille prudenze perché ogni scuola è un mondo e solo chi proprio là vive e lavora può conoscere che cosa aiuta i ragazzi ad appassionarsi alla cultura, a vincere un’indolenza magari ambientale che potrebbe far pensare che, proprio no, studiare non vale la pena. Detto questo, l’idea di ricompensare la media dei voti con un premio in denaro è infelice. È un’idea non nuova (siamo andati a vedere se e come ha funzionato là dove è stata già applicata?) e sbagliata. Si premia la media dei voti a partire dal 7 e mezzo, purché associata al 9 in condotta. Ma la misura del merito non è il voto.
Già il voto in sé ha mille pesi diversi, da una scuola all’altra, da una sezione all’altra. Ma il merito è meravigliosamente altro: è la capacità di colmare un gap iniziale magari abissale. Di lingua, ad esempio, perché in famiglia parlano tutti in dialetto e così gli amici e gli amici degli amici. Gap di ambiente sociale, perché lo studente è nato in un contesto in cui la cultura non serve — fatti furbo, fatti gli amici giusti — eppure lui o lei crede che invece studiare sia una cosa buona.
Un gap di povertà culturale perché lo stesso studente ha solo dieci libri in casa e invece ha imparato a conoscerne il valore e a desiderarli. Santificare il voto vuol dire sposare la logica (aziendalistica) del risultato: o c’è o non c’è, in mezzo il nulla. Lo sforzo, la determinazione, la volontà e la fatica non valgono nulla. Si può dire naturalmente che così va il mondo, che “fuori”, nella realtà del lavoro sarà poi così. Ma è sbagliato, non crea né giustizia né felicità e non piace a nessuno e, appunto, nella scuola bisogna mostrare che abbiamo valore al di là del risultato e che il mondo lo si può cambiare.
Si può obiettare che anche le borse di studio sono in denaro ed è vero. Con però differenze importanti. Perché quasi sempre tengono conto del reddito, oltre che della media, sono consistenti e rappresentano così un allargamento del nostro micragnosissimo diritto allo studio e possono fare la differenza per uno studente non ricco, diversamente dal premiare a tappeto voti tutto sommato normali. Il sospetto è che nella speranza di ottenere un risultato modesto (un po’ di impegno in più?) si lanci un messaggio dannoso: che la scuola non ha mezzi propri per riconoscere il valore delle persone al di là del denaro. Perché in effetti alla scuola è chiesto di tener saldo il fatto che ogni persona ha valore e che la scuola può aiutarla ad esprimerlo.
Ci sono splendidi modi di scuola (e non di mercato) per incentivare lo studio: l’iscrizione a una certificazione linguistica, un soggiorno all’estero, un abbonamento a concerti, un buono-libri, un’esperienza desiderata, offerta a studenti segnalati dai Consigli di classe con motivazioni che tengano conto di tutto, compresi i voti, le difficoltà ambientali, la determinazione, la creatività, la generosità.
La Repubblica, 4 maggio 2018.
gabriela.cappannari
8 Maggio 2018 at 9:10nessun commento