bugie

Ormai son cose di bambini. O di antiquari, a voler essere appena un po’ colti.
Accomodare la verità al proprio scopo è saper vivere, essere diplomatici, a volte delicati, politici, accorti, avveduti, addirittura buoni e misericordiosi, a risparmiarci il vero. E così si dice e sdice, vertigine infernale in cui le parole son solo male. È un subdolo convincersi che in fondo non è niente, dire ieri e oggi negare. In fondo, chi ci crede?
E si va sicuri del proprio contraffare, recita in cui la parte ci è assegnata, spettatori, lì a guardare e a pensare che in fondo il meglio che potremo sperare è domani recitare, sullo stesso palcoscenico, in ossequio al nostro prevalente, quale non conta davvero niente, purché il pubblico ci sia.
E intanto vivere scontenti, aspettar domeniche in cui lavare auto da immacolare, incespicando in giorni disattesi, a credersi in fondo non poi così male, perché intorno è tutto un replicare, e la confusione ci fa dormire.
Qualcuno ogni tanto che lo annuncia, con parole solenni e ben calcolate, che qui muore la fiducia, e poi il nostro diritto di valere, la bellezza di credersi, e anche la speranza che ci sia sponda al nostro cercare, la pace di affidarsi.
Ma ormai bene addestrati, dopo un po’ di ascoltare ci diciamo che in fondo, appunto, anche questo è solo un parlare.

Avvenire, 2 giugno 2012

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