volare

C’è un’impronta sempre. È il prezzo del corpo. Si mangia e si lasciano ossa sul piatto. Si cammina e la terra se ne ricorda.
Se si corre, addirittura trema la terra, e si può disturbare chi ha bisogno di silenzio.
Ci sono anche sentimenti più pesanti del corpo. La rabbia ad esempio riesce a raddoppiarci, piombo anche sull’anima, che così annienta dispute secolari sul suo esistere.
Si può voler essere più leggeri del proprio corpo e anche di qualsiasi nostra anima infelice. Onnipotente delirio qui in terra, e si può fin morire di questo desiderio di volare. Giovani. Palloncini sfuggiti alle nostre stesse mani.
E si può però decidere di camminar leggeri. Pieni di pensieri curiosi invece che sentenziosi. E vivere con la grazia delle stagioni a cui diamo quel che prendiamo, felici di esser custodi del giardino della Genesi.
Si vola di gioia. Assaggio di cielo. Però si deve stare attenti al sole. Mai perder di vista la terra. Scendere può essere duro.
E poi le cattive notizie volano, si dice. All’incrocio qualcuno distratto ha abbattuto un muretto. Più lontano un bambino è caduto. È vero, le cattive notizie volano. A volte viaggiano nel silenzio di un grido che aspettiamo e non viene.
C’è da aver paura di quel che è senza corpo qui sulla terra.

Avvenire, 9 maggio 2012

conoscere

Di certo sappiamo che l’indaco è un felice miscuglio di ciano e magenta e che la stalagmite delle Bahamas è cresciuta al ritmo di 10 millesimi di millimetro l’anno.
Da qualche parte dell’universo, ci dicono anche, intere galassie spariscono dentro i buchi neri e nell’Oceano Indiano quasi seimila specie di pesci si affollano mentre nel Mar Morto solo qualche Archeobatterio alofilo fa compagnia a qualche Eubatterio a sua volta alofilo.
Abbiamo poi appreso con sollievo che i neutrini non corrono più veloci della luce come qualcuno pretendeva di sostenere e ci fa un piacere assurdo non dover prendere a martellate il cemento amato del nostro sapere di scuola.
È certo anche che ci sono a spaglio un po’ ovunque malesorti: mangiar polvere e acqua e nell’acqua morire, MareNostrum, mostruoso passare e andare senza lasciare tracce. Anche questo ci raccontano, e vuol farsi strada dentro di noi, ci arriva da tutte le parti, in carta e in onda, e come ci tormenta.
È un bel combattere per non piegarsi a questo che pretende di essere il nostro sapere quotidiano e così, coperti di vergogna, poter continuare a commettere la nostra vita, tutta preterintenzionale, sia chiaro. E chiediamo anche le attenuanti.

Avvenire, 5 maggio 2012

pensare

Dicono che sia la nostra più nobile facoltà. Ci mette proprio in cima alla piramide. Autorizzati solo noi ad accatastare summe, a esser dottori, rettori, chiarissimi e anche monsignori, e a parlare dell’Altissimo.
Piccola rassegna, senza qualità e pretese, di pensieri quotidiani: che faccia, che pancia, non mi entra niente, son tutti ladri, ci rubano il lavoro, e anche delinquenti, non ci si può fidare di nessuno, è sempre la solita storia, fa preferenze, si capisce che c’è dietro qualcosa, quanti anni ha? dove sta? chissà da dove gli arriva, lui ha detto, lei ha detto, forse ha voluto dire, si capiva che era contro di me, invidioso, sempre a pensar male di tutti, ma l’ha detto o non l’ha detto? Cosa ci vuoi fare, così va il mondo, così va il mondo così va il mondo.
Scrosciare di chiacchiera chiusa, intima, che ci svigorisce, offende, ammala.
E grazie al cielo, come ombra sognata nell’abbaglio che spiana e livella i nostri desideri, arrivano i pensieri della cura, dovuta e insieme amata: vado a prenderlo a scuola, le faccio una sorpresa stasera, prendo il pane fresco, un mazzo di asparagi per tutti noi intorno al tavolo, a raccontare il giorno.
Quanti pensieri, numerati dal mattino alla notte, coltivano la nostra nobile facoltà?
«Radice dei pensieri è il cuore» (Sir 37,17)

Avvenire, 4 maggio 2012

cantare

Non è necessaria la voce limpida e accordata. Il cuore leggero però sì. E nemmeno un pubblico è obbligatorio. Però a qualcuno ci si rivolge.
È un traboccare di noi. Come una creazione. Non poter trattenere quel che siamo. Regalarsi alla vita che ci avvolge.
Canta il corpo, dice l’amica soprano, tutto il corpo. Se non c’è armonia di sé non c’è bel canto. Né se manca l’amore di sé. E gli altri? Si canta quando non si odia, non si è arrabbiati, non si tiene il broncio, non si prova rancore. Almeno un po’ di benevolenza è richiesta. Quel che basta.
Ogni organo fa la sua parte, dice l’amica. Non tutti gli organi hanno un nome musicale: laringe, diaframma, bronchi, viscere anche. Non importa. Tutti fan corolla alla voce che si disperde senza far conti, segreto della vita nascosta del corpo che diventa quasi spirito, avviso di quel che sarà.
E anche la volontà c’entra, è sicuro. Non si canta sopra il pianto straniero del mondo, oppure a sovrastare la pena di un silenzio che va prima esaudito.
Bisogna volere una storia nuova, per poter cantare. E lavorare con mani e piedi e intelligenza e volontà a questa storia. Per questo, ed è bellissimo, chi lavora, può cantare.
«Saldo è il mio cuore, Dio,
saldo è il mio cuore:
voglio cantare inni, anima mia» (Sal 108, 2).

Avvenire, 3 maggio 2012