amore (2)

A volte è malamore. Prendere con la forza quel che può solo essere regalato. Trattenere quel che si deve lasciare. Non accogliere lo spazio del desiderio, il vuoto della distanza. La bellezza di un esplorarsi di libertà che pure lottano ma nella lotta tessono la loro identità ed escono vivi.
Invece no. E quando è malamore non c’è parte che sia buona in cui stare.
C’è grande confusione, in cui gongola il demonio dicono i santi: anche le attenzioni malate e folli son pur tuttavia attenzioni, essere riconosciuti. Così capita di essere dannati ad accettarle. Un po’ alla volta. Apprendistato triste del proprio soccombere all’altro.
Queste cose non avvengono nel deserto. Ma tace il mondo vicino. Si tace. Per piaggeria, per reverenza, per obbedienza e per stupidità, per prudenza. Anche questo è malamore. E quante volte la prudenza del mondo è sorella della complicità.
E si è soli, ad andare controvento, quasi fermi, forse proprio fermi, tutta la vita, a trascorrere giorni in cui sempre almeno un oggetto, un’espressione, il ricordo di una frase diventa improvvisamente una puntura di lancia che colpisce a tradimento.
Infelice chi pratica il malamore, molto più infelice chi lo subisce. Ma guai a chi finge di non vedere.
Avvenire, 26 aprile 2012
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