C’è stato un tempo in cui i pazzi eran tutti indemoniati. Un bel massimalismo che ci semplificava, un piccolo esorcismo e qualche volta funzionava.
Adesso graziealcielo abbiamo studiato e fra una riga e l’altra del giornale che ci porta il nostro male, troviamo tante definizioni, che sono anche assoluzioni: c’è chi ha violentato, ma era stressato, chi ha deriso, fatto il bullo e anche ucciso, ma era un narciso, ed è una malattia, e lo sappiamo già dal mito, che può anche portarci via.
Poi c’è chi ha le allucinazioni, oppure le visioni, i disturbi dell’umore e le millemila fobie, e oggi, con tutto che siamo, stipati di informazioni, si moltiplicano le ipocondrie.
Finché un giorno, ad occhi bene aperti, ci si scopre un poco umani nello specchio di chi vediamo, e allora un sussulto da notizia ci fa pensare che certamente le infermità ci possono rubare, ma che il male è male e si deve credere che la terra in cui si nasce la si può infine bonificare: il disprezzo del diverso, che si può volendo chiamare fratello, il nostro solitario arrampicare, e il voler brillare, e l’aver paura. Di chiamare peccato quello che ci divide e ci divora. Peccato contro l’uomo e contro Dio che vi dimora.
Avvenire, 14 giugno 2012
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