Dal basso. Tre metri sotto la nostra dignità. Difficile vedere.
Ma proviamo.
Intanto è sottinteso che se si volesse davvero veder tutto alla fine non si vedrebbe niente. Sotto sotto bisogna scegliere, altrimenti non si vive, tutte queste disgrazie e poi a scavare bene ce n’è per tutti. Si nasce che si sta bene, non è poi colpa nostra e i ricchi e i poveri ci saranno sempre. Sotto sotto comunque ci si adatta a tutto e le ricerche ci dicono che i più poveri sono anche più felici, si accontentano di poco. Chi ha di più, ha più preoccupazioni e non può star quieto. A scavare bene si capisce che è una condanna aver qualcosa.
In fondo c’è tanta confusione nella vita. Piace al diavolo dicono, ma si sa che in fondo non ci crede nessuno.
È che ogni tanto si deve un po’ affiorare per prender fiato e si scopre con sgomento che il mare può continuare a essere blu, vivo, anche se sotto non ci sono più madrepore e coralli ma solo rovine di battelli inumati. E sulle colline oltre la spiaggia i fiori continuano a fiorire senza sforzo alcuno.
E vien voglia di andare a riva finalmente e camminare scrollando la gogna di non voler vedere, di non saper commuoversi.
Perché la vita non finisce. Struggente e necessaria. A cosa altro si può obbedire se non a tutte le vite del mondo?
Avvenire, 29 maggio 2012
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