Certo che ci si espone. Allarghiamo le braccia per accogliere e il cuore è lì comodo a chi ci pugnala. Sorridiamo e la risata del mondo ci può travolgere cattiva. La mano aperta per carezzare può venire afferrata e i polsi fanno male mentre qualcuno ci spinge contro muro. E il cullare è anche duro, di notte, stremati, con gli occhi già chiusi di fatica.
Ma cosa viene dall’assecondare la seduzione buona di seguire la legge del corpo, consolati per contatto, per contaminazione, passaggio di calore, legge fisica e spirituale del disarmo che smantella la volontà d’offesa, non si uccide chi ci abbraccia. O forse sì, incarnazione, croce, storia della tenerezza di Dio per l’uomo. Ma la tenerezza ci rende giusti. Amati più di quel che ci amiamo. Giudicati per quel che non possiamo e non per quel che facciamo, o siamo.
Desiderio accolto nella forma dell’origine: carezza antica che viene dall’audacia di chi si fida, si affida completamente e non teme abbastanza per sé perché teme molto più per noi. Quanto divina è la tenerezza che si fa scoglio all’offesa, non scappa l’agonia, è leggera e tremenda, non sa di frontiere fra me e te.
E poi la tenerezza è lenta come il tempo del piacere. Come un’eternità che promette pace.
Desiderio accolto nella forma dell’origine: carezza antica che viene dall’audacia di chi si fida, si affida completamente e non teme abbastanza per sé perché teme molto più per noi. Quanto divina è la tenerezza che si fa scoglio all’offesa, non scappa l’agonia, è leggera e tremenda, non sa di frontiere fra me e te.
E poi la tenerezza è lenta come il tempo del piacere. Come un’eternità che promette pace.
Avvenire, 18 aprile 2012
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