L’esame di Stato 2018, l’ultimo con la forma che conosciamo, cade in un tempo in cui le parole del potere polverizzano i valori che la Costituzione affida alla scuola pubblica
Forse l’esame di stato 2018 abita una confusa terra di mezzo. Di certo è l’ultimo con la forma che conosciamo: prima prova di italiano uguale per tutti, seconda prova ministeriale unica per indirizzo, terza prova su misura della classe, con domande a scelta multipla oppure a risposta aperta, oppure, raramente, il progetto, il problema, il caso pratico.
Con il paradosso che la prova più vicina agli studenti è sempre stata la più temuta e toppata. E poi il colloquio, così difficile da salvare nel suo non dover essere la somma di singole interrogazioni e nemmeno un disordinato flusso di coscienza sfilacciato su collegamenti lunari come il flusso delle maree, il diagramma di flusso e il flusso mestruale.
Dal prossimo anno per accedere all’esame sarà necessario aver sostenuto durante l’anno le prove Invalsi in italiano, matematica e inglese, e aver completato le 400 ore di Alternanza scuola lavoro previste per i tecnici e le 200 previste per i Licei. Come entreranno queste attività di Alternanza scuola lavoro, che hanno stritolato la capacità organizzativa delle scuole con risultati a volte esaltanti a volte tremendi, nella valutazione dell’esame ancora non si sa, mentre è certo che non ci sarà la terza prova se non in casi particolari previsti per “specifici indirizzi di studio”, non ancora indicati dal MIUR.
E’ certo anche che questo del 2018 è un esame di stato di un tempo in cui in modo repentino e impensato le parole del potere sembrano polverizzare senza imbarazzo i valori che la Costituzione affida alla scuola pubblica e per i quali la scuola ha ragione di esistere. L’uguaglianza, innanzi tutto: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3). E poi la solidarietà, il ripudio della guerra (anche sociale). La condivisione, la curiosità intellettuale per le culture, l’amore per il mondo multiforme e interrogante, eternamente interrogante sul senso e valore di esistenze la cui sorte sembra incatenata alla geografia della nascita. Privilegio o responsabilità?
E sull’onda di questa attualità gridata, il toto-temi si sposta sull’immigrazione, i rapporti internazionali, la denatalità. I temi della prima prova sono preparati in primavera da una commissione di esperti del MIUR. Se ci sarà l’immigrazione (già data all’esame di stato più volte) è perché si tratta di un evento epocale come molte volte nella storia è stato un evento epocale, non perché è la politica del momento ne ha fatto il totem incantatore del suo parlare.
Non sappiamo quel che sarà il futuro. L’esame di stato promuove quasi tutti da sempre. Cercare di indovinare i temi o il passaparola sulle preferenze dei commissari è un rito e va bene se abbassa l’ansia. Quel che è certo è che la vita è sempre qui e ora insieme ogni nostro gesto e parola lascia il segno per cui c’è un unico consiglio, buono per tutti (noi): poter dire di avere affrontato i giorni e le prove da persona libera, capace di argomentare e non di assecondare l’aria che tira, rinunciando alla tentazione delle parole che colpiscono come clavate e invece cercando di far valere la propria (giovane) personale voce, libera dalla competitività (che ci separa dagli altri e ci rende poveri di collaborazione) e dalla piaggeria.
Poter raccontare con verità questa esperienza.
Da La Repubblica, 19 giugno 2018.
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