C’era una volta Gianni Rodari. C’era e c’è. Quest’anno si ricordano i cento anni dalla nascita e ri-leggerlo è una gioia. E si può anche in-seguirlo lungo su e giù per l’Italia quanto è lunga e anche sporgendosi dai confini. Sul portale www.100giannirodari.com l’editrice EL (che comprende i marchi Edizioni EL, Einaudi Ragazzi ed Emme Edizioni) raccoglie tutti gli eventi che quest’anno lo ricordano: teatro, reading, convegni, spettacoli d’ogni tipo, da Vicosoprano di Bregaglia – che pare un nome uscito da una delle sue storie e invece è un paese della Svizzera, Cantone dei Grigioni – a Ostia, a Bitonto, a Milano, a Sezze Scalo (Latina).
Rileggere cosa? Ciascuno di noi ha il libro di Rodari grazie al quale lo ha incontrato e non sempre sapremmo dire il perché ci ha stregato. Una rilettura incantevole, irresistibile, pagina dopo pagina, viene da una raccolta di cento suoi testi per bambini: Cento storie e filastrocche (Edizioni EL, Trieste 2019). Ciascuna storia è accompagnata da un’illustrazione d’autore, cento coloratissimi stili diversi per raccontare l’incanto della fantasia, cento meraviglie per gli occhi.
Molte parole sono davvero solo risata e gioco, e ridere non è proprio poco. Ma altrettante sono gioco serissimo e pensieroso. E siccome i poeti sono spesso profeti, si resta incantati di trovare già scritti i nostri giorni scriteriati.
Gli «staccapanni» del paese con la esse davanti sono presi dai nostri tempi opulenti e meschini in cui davvero li abbiamo inventati per potere un poco dormire, di notte, fra i cuscini, e un poco far dormire i nostri bambini.
Invece gli «scannoni» che disfano la guerra non li abbiamo ancora costruiti. Chissà che non sia un problema di testa, quella che manca al povero «ane» di Firenze, dove la «c» se la mangia la gente: «Ma lui non si lamenta, / è un caro cucciolone, / scodinzola e fa festa / a tutte le persone». E del resto – conclude la filastrocca – «Vivere senza testa / non è il peggio dei guai: / tanta gente ce l’ha / e non l’adopera mai». La testa è un tormento ripetuto nelle rime di Rodari, che in Teste vuote le vede «ruzzolare per la strada / senza bisogno di ruote. / Erano vuote del tutto, /salvo pochi pensierini / che ci ballavano dentro / come dei sassolini».
E del resto accanto all’attività di scrittura per bambini, c’è quella di articolista. Per la rilettura di questo aspetto, va bene un’altra raccolta: Il cane di Magonza, (Einaudi, Milano 2017). Curato da Carmine De Luca, il libro propone un’antologia di scritti scelti fra quelli pubblicati da Rodari soprattutto sul quotidiano Paese sera, selezionati per la loro letterarietà oltre che per gli argomenti.
Molti sono scritti che avviano riflessioni che più tardi avrebbero trovato una sistemazione più strutturata, come i due articoli «Un manuale per inventare favole» dove Rodari insegue le vicende
di un fantomatico manoscritto di un fantomatico prof. Otto Schlegel-Kamnitzer, consegnato a Rodari da un altrettanto fantomatico giovane giapponese che l’ha tradotto dal testo (giapponese) in suo possesso.
È un lavoro che vuole gettare le basi di una «Fantastica», ovvero l’equivalente di una
«Logica» ma riferita all’arte d’inventare e non di ragionare.
È l’idea poi sviluppata in quel magico libro che ha incantato il mondo degli scrittori e dei lettori che è La grammatica della fantasia. E lo scritto «Il cane di Magonza» che dà il titolo al libro è già un esercizio di quest’arte, esercitata a partire delle parole liberamente frullate così che si possa conoscere il mondo e navigarlo con sapienza. Fin da bambini.
Il libro è uno scrigno che attraverso gli occhi dell’autore perennemente attenti a cogliere il lato meno scontato del mondo, ci abitua a vedere le storture della società in cui viviamo e in nessun caso a voltare la testa. Una parola a parte per un testo non molto conosciuto e qui riportato. Si tratta di un poemetto dal titolo Compagni fratelli Cervi, scritto per gli ottant’anni di papà Alcide Cervi e letto a Reggio Emilia l’8 maggio del 1955. È poesia civile dura, epica e insieme poetica.
Bisogna ricordare il sacrificio terribile dei sette fratelli per far sì che i ragazzi si innamorino della giustizia e della libertà. «Sette fratelli come sette olmi / alti e robusti come una piantata. / I poeti non sanno i loro nomi, / si sono chiusi a doppia mandata. (…) I libri di scuola si tappano le orecchie. / Quei sette nomi scritti con il fuoco / brucerebbero le paginette / dove dormono imbalsamate / le vecchie favolette / approvate dal ministero».
Poi li scrive i nomi, come sette olmi, in polemica con il bon ton d’aula della scuola italiana, che vuol esistere senza ricordare. È il compito del poeta. Anche di chi dice di scrivere per i bambini.
E invece.
Per finire, in giorni in cui l’umore fa fatica a guarire, ancora parole che fanno splendere il sole: «Ho visto una formica / in un giorno freddo e triste / donare alla cicala / metà delle sue provviste. / Tutto cambia: le nuvole, / le favole, le persone… / La formica si fa generosa… / È una rivoluzione».
Da Il Regno, 15 marzo 2020.
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